Premessa
Il presente lavoro,ha lo scopo di illustrare uno dei più famosi “cold cases” della conservazione e della gestione del patrimonio archeologico della città di Benevento: il Parco archeologico di contrada Cellarulo.
La gestione e,soprattutto,la tutela delle eredità del passato,ingenti,numerose e problematiche in Italia, è materia notoriamente complessa.
Tuttavia,il sempre maggiore disinteresse della classe dirigenziale per i beni culturali,può trasformarsi in una grave perdita per coloro i quali vorrebbero fruirne.
Mi riferisco essenzialmente a due tipologie di fruitori: le generazioni future e quelli che possono essere annoverati nella categoria dei “visitatori”.
La perdita del patrimonio artistico,costituisce un grave pericolo per i posteri,una minaccia imminente, dovuta alla discutibile amministrazione della classe dirigenziale,la cui linea di condotta sembra esser sempre più rivolta ad un’esasperazione dell’aspetto meramente economico.
Sin dalle civiltà più antiche,l’uomo si è dimostrato incline ad onorare la memoria di chi lo aveva preceduto,mettendo a punto delle rudimentali strategie di salvaguardia.
Per contro,le generazioni moderne ,che dovrebbero essere maggiormente avvezze a rispettare le eredità del passato,sembrano aver perso di vista questo ancestrale ossequio.
Tutto ciò appare paradossale, quasi ossimorico, se mettiamo a confronto i mezzi che avevano a disposizione i primi uomini per salvaguardare testimonianze delle epoche precedenti, e quelli che abbiamo a disposizione attualmente.
Ma,nonostante l’evidenza sia palese -nonostante per certi versi sia enigmatica- l’oblio in cui stanno cadendo le tracce del passato,rischia di cancellare per sempre il loro ruolo di memoria visiva.
La civiltà moderna che tanto si boria di essere sinonimo di progresso, sta facendo in modo che quel passato che andrebbe tutelato,quella storia che nel corso dei secoli ha forgiato il carattere di nazioni e popoli,stia scontando una pena di cui non s’è macchiata.
La predominanza del fattore egoistico su quello altruistico,ha lentamente permesso la perdita di valore della “trasmissione”,tanto concettualmente, quanto fisicamente.
Cos’è oggi un’eredità? La società moderna è adusa a guardare ai lasciti in termini di guadagno materiale,sottostimandone il valore morale ed interrompendo,in questo modo,il naturale processo di “trasmissione nel tempo”.
Naturalmente la conseguenza diretta di questa perdita,è l’annullamento della fruizione da parte dei posteri ed il sempre maggiore degrado in cui vengono lasciate le testimonianze visive del passato.
Quest’ultima conseguenza è particolarmente paradossale se inquadrata in un preciso contesto temporale.
E’ assurdo, ,infatti, veder crollare monumenti resistiti così a lungo nei secoli,solo per una mancata tempestività nell’attuazione di mirati programmi di diagnostica preventiva.
Per quanto riguarda la perdita delle eredità del passato per le generazioni future,bisogna aprire una parentesi sugli incaricati della gestione dei patrimoni archeologici.
La tutela che queste persone dovrebbero attuare è,in troppi casi,assai carente ed inefficiente e si traduce nel malcostume di utilizzare i beni in gestione esclusivamente come fonti di guadagno.
Di solito,se in un meccanismo qualcosa fa difetto,anziché perder tempo in panegirici circa la causa massima del loro mal funzionamento,bisognerebbe agire e cambiare il pezzo difettoso.
Questo in Italia non avviene,non è nell’indole del popolo italiano gestire le situazioni in maniera pragmatica.
In fondo non sto parlando per astrazione, mi sto riferendo non solo ai problemi specifici del sito che ho preso in esame ma anche ai vari crolli avvenuti a Pompei, alla Domus Aurea ed al Colosseo che cadono a pezzi ed in ultimo,e non meno gravi,i crolli e le infiltrazioni all’Antro della Sibilla Cumana.
Ma della gestione dei beni culturali da parte dei nostri amministratori potremmo aggiungere molto altro.
A titolo informativo,ricordo ad esempio che oltre il 70% del patrimonio culturale “minore”,è chiuso al pubblico o che i magazzini dei musei sono pieni di reperti impolverati che non verranno mai custoditi in una teca e resi fruibili.
La mancanza di praticità italiana ,o meglio,la mancanza di praticità e ,perché no,di logica,da parte dei nostri governanti si riflette nella loro attitudine ad intavolare inutili querelle anziché agire.
Le disquisizioni che,attualmente, tanto li coinvolgono,riguardano la legittimità da parte dei privati di intervenire in difesa del nostro patrimonio artistico,investendo ingenti somme per il loro restauro e la loro tutela futura.
Evidentemente i ministri,i tecnici e tutta la serie di gestori “competenti”,si sentono feriti nell’ orgoglio,un orgoglio egoistico che scavalca qualsiasi logica e sfocia nel divieto,giustificando quest’atto di pura follia con la scusa che un imprenditore privato non è interessato che all’aspetto economico della faccenda.
Un comportamento così temerario sarebbe lecito se lo Stato avesse a disposizione delle cifre maggiori per la gestione dei Beni Culturali ma sappiamo benissimo che non è così.
Ciò che maggiormente mi stupisce,è che quest’ostilità del governo ad accettare l’intervento di privati nella gestione dei beni culturali,è un atteggiamento unico in Europa.
All’interno degli Stati Europei,infatti,siamo gli unici ad avere una strategia operativa che rasenta il malcostume e l’inefficienza e questo a dispetto del fatto che siamo una delle nazioni col maggior numero di eredità culturali nell’ambito mondiale.
Non dovrei stupirmi,alla luce di tutto questo,che una realtà provinciale,che un tesoro nascosto come Benevento, non sia in grado di gestire l’ingente numero di ricchezze che si trovano sul suo territorio.
Ho scelto il sito di contrada Cellarulo perché riassume un po’ tutti i punti esposti in questa premessa e perché sono recenti le ultime tristi vicende che hanno declassato quella che doveva essere la perla dell’archeologia beneventana, a sito dimenticato tra le sterpaglie ed i rifiuti,alla mercè di un fiume così vicino che già una volta l’ha gravemente violato e potrebbe rifarlo ancora.
Il Parco archeologico di Contrada Cellarulo :
■ La storia
La storia della tutela e della diagnostica archeologica beneventana è alquanto complessa.
Sin dagli anni 80,le campagne di scavo condotte nel centro storico e nella periferia del capoluogo sannita,sono state finalizzate alla delineazione dell’assetto urbano della città antica,cercando di mettere in evidenza –laddove possibile- le diverse fasi evolutive.
Tuttavia,una conoscenza a 360° della struttura urbana e dei monumenti –in particolare quelli di età romana- è un’impresa ardua. Grosse difficoltà provengono,infatti,dalla sovrapposizione delle costruzioni medievali e moderne. Da sottolineare è la posizione peculiare del sito su cui si sviluppò l’insediamento osco-sannitico e successivamente quello della città romana.
E’ proprio grazie alla favorevole condizione geografica che Roma decise di dedurre la città come sua colonia nel 268 a.C.
La città,infatti, si trovava –allora come oggi- alla confluenza tra i due fiumi Sabato e Calore,su una serie di terrazzamenti naturali,ricoprendo un ruolo chiave per il controllo del territorio e costituendo una sorta di “cerniera” nelle comunicazioni tra il versante adriatico e tirrenico.
Appare chiaro sin da subito, che Benevento,anticamente, doveva costituire uno snodo fondamentale per gli assi viari che l’attraversavano,come ad esempio la via Appia,la via Latina,la via dell’Alto Sannio,la via Minucia (cui si sostituì in epoca imperiale la via Traiana),la via per Avellino,lungo la vallata del Sabato.
Tutto ciò non deve destare meraviglia, dal momento che era consuetudine romana dedurre colonie in luoghi geograficamente favorevoli. Di fatti,i nuovi abitanti, decisero di adeguare l’impianto della colonia alla conformazione orografica,esaltandone le caratteristiche fisiche con opere di monumentalizzazione agevolate dai terrazzamenti naturali della città.
E’ stata ormai superata la teoria secondo cui la città romana sarebbe sorta sul versante occidentale –in contrada Cellarulo appunto- andandosi a sovrapporre al primitivo insediamento sannitico.
Da un punto di vista strettamente archeologico l’importanza del sito di Cellarulo,è legata al ritrovamento –nei pressi del ponte Fratto- di un quartiere artigianale, attivo sin dalla fine del IV sec. a.C. e ,dunque,precedente all’epoca della deduzione della colonia romana.
Questo quartiere,stando a quanto emerso dalla campagna di scavo,avrebbe fatto parte di una pianificazione territoriale organica, poiché si trovava a ridosso di una cinta muraria in opera quadrata e in corrispondenza di una delle monumentali porte di accesso alla città –con buone probabilità quella che si collegava con la via Latina.
In origine, l’area del quartiere artigianale era occupato da una necropoli sannitica, e ciò è stato dedotto dal ritrovamento di corredi funerari abbastanza ricchi.
In seguito, l’area fu adibita a quartiere ceramico,ed è possibile notare una continuità di frequentazione dal IV sec. a.C. fino al II sec d.C.
Dopo le iniziali fasi occupazionali pre- e protostoriche, è durante il IV sec che prende il via un processo insediativo che si concluderà con l’emersione di una nuova struttura proto-urbana che va a sostituire il probabile antecedente insediamento sparso di cui,però, non restano che tracce archeologiche poco reperibili.
■ DALLA SCOPERTA AI PRIMI PROBLEMI : IL SITO ARCHEOLOGICO DI CONTRADA CELLARULO SALE ALLE LUCI DELLA RIBALTA
Sin dalle prime operazioni di scavo, il sito si mostrava come un sostanzioso concentrato di testimonianze del passato. Quando dalla terra riemergono pezzi della nostra storia passata,di una storia lontana ed affascinante,la notizia riesce a coinvolgere uno svariato numero di persone,dagli addetti al mestiere,ai comuni cittadini,inorgogliti dalla riemersione di una così tangibile memoria storica.
Spesso,però,la determinazione,la passione e l’accoratezza con cui può lavorare un archeologo,uno storico o semplicemente un sovraintendente locale,possono essere fortemente ostacolate e ridimensionate dalle manovre politiche dell’amministrazione cittadina,la quale tenta ripetutamente di far prevalere i propri interessi –nella maggior parte dei casi di natura economica- su quelli culturali.
E così accadde agli inizi degli anni 90,quando la giunta comunale decise di far passare per contrada Cellarulo un asse interquartiere. La notizia di questo progetto suscitò la forte indignazione dei cittadini,i quali unirono le proprie forze e ,in opposizione alla decisione dell’amministrazione comunale,costituirono il comitato civico “ Giù le mani”.
Il comitato,sin dal 1991,iniziò una dura battaglia contro la realizzazione del progetto,battendosi in difesa del sito archeologico ed avvalendosi,per altro, del supporto di esperti del settore.
Infatti,l’associazione,si fece affiancare in battaglia dalla fondazione Lerici,un Ente Morale che dal 1947 opera nel campo delle indagini geoarcheologiche non invasive,composta da uno staff permanente di geofisici,geologi ed archeologi,affiancati da tecnici per il rilevamento dei dati (topografi, tecnici sondatori).
L’intervento della fondazione,diede un contributo rilevante alla lotta civica,in quanto forniva alle amministrazioni cittadine un parere scientifico sul sito di Cellarulo,confermandone l’importanza archeologica e sottolineandone l’assoluta intoccabilità dell’area.
Del resto,lo stesso comitato “Giù le Mani” aveva dimostrato all’amministrazione comunale,quanta determinazione caratterizzasse la propria lotta, raccogliendo 9.880 firme,consegnate all’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti.
Questa raccolta firme,tuttavia,non fu il solo atto concreto compiuto dall’associazione. I cittadini riuscirono a coinvolgere anche le scuole e la risposta più tangibile fu la pubblicazione di un opuscolo divulgativo sull’importanza dei ritrovamenti provenienti dall’area archeologica di Cellarulo.
La determinazione e l’amore di così tanti sanniti e l’appoggio di un valido partner come la fondazione Lerici, portò nel 1992, a far riunire un comitato di esperti del settore archeologico presso il ministero dei Beni Culturali, il quale stabilì che il sito venuto alla luce in contrada Cellarulo,andava tutelato.
Le battaglie portate avanti dal comitato civico,il fatto che tanta gente spontaneamente aderisse e partecipasse alla salvaguardia di un pezzo importante della storia cittadina,riuscì a frenare la folle idea della giunta di costruire un asse interquartiere passante per l’area archeologica anche se,purtroppo,solo temporaneamente.
La campagna di scavo in contrada Cellarulo,andò avanti senza grossi problemi fino al 1996,anno di cambio al vertice dell’amministrazione cittadina.
La nuova giunta,decise inspiegabilmente di rispolverare il progetto dell’asse interquartiere,a dispetto di anni di battaglie portate avanti sia sul territorio cittadino che in ambito nazionale.
La ridiscesa in campo del comitato civico e del suo seguito,riuscì ad arginare parzialmente la minaccia di cementificazione del sito archeologico,poiché,nonostante tutto,la neo eletta amministrazione comunale, si era resa conto che il sito archeologico di contrada Cellarulo aveva acquistato fama a livello nazionale.
Di conseguenza,la messa in cantiere del progetto dell’asse interquartiere,sebbene avesse sostanzialmente rimarcato la precedente pianificazione,avrebbe dovuto contenere alcune modifiche. Fu ideata,infatti,la “variante turistica” dell’asse,la quale avrebbe lambito l’area archeologica,allo scopo,probabilmente,di riuscire a portare a termine i propri piani senza scatenare una seconda trance di polemiche e battaglie.
Ancora una volta,la forza di volontà,la determinazione e la tenacia di coloro i quali proprio non potevano permettere che il sito di Cellarulo fosse messo in pericolo,riuscì a far mettere in cassa una piccola vittoria: la consacrazione dell’area a zona d’ interesse archeologico,una sorta di “zona franca”, tutelata da organi competenti e difesa da un gran numero di persone.
Nel corso degli anni e con la prosecuzione dei lavori di indagine, si giunse alla definizione per Cellarulo di area atta a divenire ,in un futuro prossimo, Parco Archeologico.
Questa nuova riqualifica del sito,non era e non è esente da critiche,poiché per essere un parco archeologico a tutti gli effetti,doveva garantire la massima fruibilità di quanto venuto alla luce.
Nel caso di Cellarulo non è così,in quanto lo scavo non ha interessato tutta l’area archeologica.
Non è stata scavata,ad esempio,l’ampia area lungo il crinale della collina,dove importanti reperti giacciono ad una profondità di 4 metri.
Ciò che è venuto fuori da anni di lotte,da anni di lavori sul campo,ha,da un lato consentito di confermare l’importanza archeologica dell’area ma ha,dall’altro, fatto emergere delle problematiche tecniche non ancora risolte.
■ DALLA DEFINIZIONE DI “PARCO ARCHEOLOGICO” AD OGGI
Il sito è ancora lontano dal poter esser definite Parco archeologico a tutti gli effetti e questo,nonostante gli interventi di diagnostica del 2001. Ulteriori ricerche effettuate tra il 2008 ed il 2009,hanno confermato l’importanza del sito,permettendo l’individuazione dei piani di posa degli edifici databili al 268 a.C., anno di fondazione della colonia latina.
Ufficialmente, il Parco è stato aperto al pubblico il 15 luglio del 2010,con grande enfasi delle istituzioni locali. Tuttavia,la definizione di Parco archeologico applicata alla suddetta area,è per certi versi un po’ troppo fantasioso vista la connotazione che è stata data all’intero progetto.
La zona,infatti, ha più le sembianze di un percorso benessere a pochi Km dal centro cittadino- grazie alla presenza di sentieri e piste ciclabili- piuttosto che di Parco archeologico. Probabilmente,quella di immaginare un parco archeologico come qualcosa di diverso da quello in questione,fa parte di una mia visione romantica ma non credo sia tutta colpa della mia fervida e sentimentale immaginazione. All’apertura del Parco non sono riuscita ad identificarlo come tale in virtù del fatto che i reperti archeologici non era visitabili,che giacevano ancora sotto dei teli.
Questo problema tecnico,era dovuto al fatto che, dopo 19 anni di scavo, non erano state fatte né opere di restauro, né di tutela. L’unico riferimento alla finalità “archeologica” del Parco era -ed è- un cartello installato a ridosso degli scavi,illeggibile perché posizionato troppo in alto per un visitatore di media statura ma che ,a suo modo,fornisce qualche informazione ai turisti.
Nel cartello si legge che : “La cinta urbica racchiude un ampio quartiere con isolati orientati nordest-sudovest a carattere residenziale ma soprattutto produttivo, come indicano le numerose fornaci attive fino al II-III sec. d.C. L’estensione della città romana fino all’ansa del fiume Calore in contrada Cellarulo,è stata confermata da ritrovamenti e scavi degli anni 1990-1998 e dalle attività di diagnostica archeologica condotta nel 2001. Le ricerche del 2008-2009 hanno ampliato le conoscenze portando tra l’altro all’individuazione dei piani di posa degli edifici risalenti alla fondazione della colonia latina del 268 avanti Cristo.”
L’inefficienza della cartellonistica a ridosso del sito, è testimoniata anche dalla scarsa leggibilità della mappa dei reperti rinvenute con relative datazioni storiche.
Come se non bastasse,la modica cifra spesa per la realizzazione del Parco – 2,2 milioni di euro- non dev’essere bastata a rendere soddisfacente la fruibilità del sito,come non devono essere stati sufficienti per una pianificazione strategica di interventi di tutela.
Il 2010 è stato un anno particolarmente significativo per il sito. Esso è stato non solo l’anno di inaugurazione ma anche un nefasto periodo di vessazione climatica.
Nel novembre del suddetto anno,infatti, un grave allagamento ha interessato l’area archeologica. Come ho riportato sopra,lo scavo sorge in prossimità dell’ansa del fiume Calore e,non essendo stata sottoposta ad adeguate strategie di tutela, è stata colpita in maniera seria dall’esondazione del fiume.
Il fiume Calore, in occasione di precipitazioni piovose consistenti, ha più volte evidenziato la sua necessità di spazi di esondazione e il Parco Archeologico,suo malgrado,si trova proprio in quegli ambiti territoriali. La posizione del sito nella penisola fluviale,posta alla confluenza dei due grandi corsi d’acqua Sabato e Calore,oltre alle sue peculiarità archeologiche,costituisce anche una zona particolarmente interessante da un punto di vista naturalistico per la presenza di un bosco igrofilo e per la vicinanza ad un’ansa fluviale inondabile.
In data 11 novembre 2010, il Parco Archeologico ha subito uno dei danni maggiori mai ricevuti dalla sua venuta alla luce.
L’intera area archeologica, per tutto il tratto che corre in trincea, è stato completamente inondato e,l’esondazione fluviale, non ha risparmiato nemmeno i reperti archeologici. A danno avvenuto,cercare un responsabile serve a ben poco. Ciò che palesemente indigna,è la mancata esecuzione in tutti questi anni,di adeguate e mirate opere di difesa idrogeologica.
Per cercare di salvare le apparenze, l’amministrazione comunale ha pensato bene di provvedere-a danno avvenuto -alla messa a punto di un piano di tutela idrogeologica. Questo,tuttavia,non può redimerli da critiche e da accuse di incompetenze.
Com’è possibile che nel corso degli anni non sia mai stata presa in considerazione l’ipotesi di dover mettere in atto degli interventi di tutela preventiva? Sostanzialmente, la grave colpa di cui questi incompetenti gestori della “cosa pubblica” si sono macchiati, è quella di aver fatto prima l’opera e ,solo successivamente, di aver indetto un bando d’appalto per i lavori di tutela.
Questi errori di tempistica sono costati cari al sito archeologico. Stiamo parlando di un’area insediativa molto antica,di un patrimonio inestimabile,il cui danno non è riparabile. Ancora una volta chi amministra,sembra totalmente disinteressato alle conseguenze delle sue omissioni. I responsabili dovrebbero pagare ma sono troppi e soprattutto sono intoccabili,com’è da copione in Italia,per certi malfattori non ci sarà alcuna condanna. Per questi assassini del patrimonio e delle eredità culturali,ci sarà sempre l’immunità.
Tuttavia, se le sciagure dell’area archeologica si fermassero a questi gravi danni,sapremmo già in che direzione lavorare per evitare che si ripetano. Non è così. Ancora una volta il sito è stato umiliato dall’incompetenza gestionale delle amministrazioni,concretizzatasi nella chiusura del Parco il giorno 21 Dicembre 2011.
Io,proprio in quella giornata, mi ero recata per un sopralluogo in contrada Cellarulo,allo scopo di scattare alcune foto per il presente lavoro.
Mentre mi avviavo verso l’area archeologica,sono stata fermata da alcuni funzionari comunali i quali mi hanno invitato a lasciare il Parco in quanto,contemporaneamente,il Pubblico Ministero stava mettendo sotto sequestro l’area. Di conseguenza,i cancelli dovevano essere chiusi.
L’impiegato comunale non mi seppe fornire una motivazione alla chiusura,forse non poteva,essendo la notizia ancora ufficiosa. Tuttavia, io riuscì a fare una fotografia alla pavimentazione in pietra che dall’ingresso di via Grimoaldo Re,conduce sino all’area archeologica.
Inizialmente, imputai la chiusura a questa serie di danni visibili alla pavimentazione in quanto,come ricordavo precedentemente,l’area era stata adibita,oltre che a Parco archeologico,anche a percorso benessere,grazie alle piste pedonali e ciclabili. Per gli abitanti del posto, infatti, contrada Cellarulo è sinonimo di luogo d’incontro di podisti, di persone desiderose di passeggiare in mezzo alla natura in compagnia del proprio cane.
Difficilmente potevo immaginare che il motivo della chiusura del Parco fosse legato a questioni burocratiche,come poi si è rivelato. Le motivazioni riguardavano ,infatti,la scadenza del contratto di guardiania che il Comune aveva stipulato con una cooperativa privata. Riassumendo, l’area è stata chiusa per un termine di collaborazione con una cooperativa di guardiani e fin qui,è tutto chiaro ma il punto è che una chiusura per queste motivazioni,può essere comprensibile allorquando contrada Cellarulo fosse stata esclusivamente adibita a pista ciclabile e pedonale. Non è altrettanto lecito se contrada Cellarulo viene considerata Parco Archeologico,o meglio il luogo nel quale è venuto alla luce l’antico quartiere ceramico cittadino,non è corretto chiudere per tali motivazioni un’area di interesse culturale. Allo stato attuale,un visitatore esterno,un qualsiasi forestiero giunto per puro caso nei pressi della suddetta area,si troverebbe di fronte ad un cancello saldamente sigillato da un pesante lucchetto e l’unica cosa che potrebbe ammirare nonostante lo sbarramento,è il miracolo della natura,che ogni giorno di più cresce rigogliosa tra gli scavi .
■ CONCLUSIONI
Lo scopo di questo lavoro,credo che oramai sia stato reso noto. Volevo far luce su una delle questioni più spinose , nell’ambito dei beni culturali,inerenti alla città di Benevento. Ancora una volta,le insolvenze amministrative,hanno permesso lo svilupparsi di una criticità civica,fortemente corroborata dalle modalità di gestione tutt’altro che encomiabili.
E’ questa,l’ennesima mortificazione subita,l’ennesimo scempio che va a gravare sul nostro patrimonio artistico,già fortemente minacciato dalla costante oscillazione tra il malcostume ed il degrado. Questo lavoro non è nato e non vuole essere come una sorta di j’accuse nei confronti degli enti preposti alla tutela del patrimonio culturale locale,è soltanto una risposta risentita alla ferita che costantemente rinnovata,nostro malgrado. In questo scenario di miseria,di restrizioni obbligate,ci stanno privando di tutto. Costi,tagli,operazioni economiche,hanno ogni giorno di più il compito di impoverirci,di farci sentire il popolo dei senza futuro. Dicono che la situazione sia mondiale ma questo non ci consola. Stiamo diventando poveri,lo siamo già,lo saremo sempre di più. Chi ci amministra,porta avanti il suo programma di depauperazione senza scrupoli. Dal canto nostro,ci piegheremmo sotto le logiche di questa inumana fase dell’economia mondiale,se non progettassimo una strategia di difesa. Non possiamo sconfiggere questa fitta rete di interessi economici e politici senza porci degli obiettivi,dei piccoli traguardi da raggiungere impiegando tutte le nostre forze. Possiamo unire le nostre voci,possiamo formare una catena umana per fermare l’avanzare dello stato di ignoranza che tanto favorirebbe la classe governante. Possiamo essere scudo che protegge quello che ci è rimasto da ulteriori scempi,dalle ennesime mortificazioni. Il degrado è morte. Lasciare nel degrado le eredità del passato vuol dire uccidere una seconda volta coloro che li costruirono. Personalmente,non posso e non voglio permettere che una reazione a catena causata dall’ingordigia umana,ricada sulla memoria storica,sulla finestra spazio temporale che permette di affacciarci su epoche lontane. Non acconsentirò tacitamente al colpo di grazia per queste malandate tracce venute alla luce dalla terra incolta. Se lo scopo di chi ci governa è la repentina trasformazione dei Beni Culturali in Mali Culturali,ha trovato nella sottoscritta un’acerrima nemica,un’idealista che lotterà con tutte le sue forze e nonostante i pochi mezzi a disposizione,per cercare di sensibilizzare la coscienza civica ed attivare un programma di difesa militante.
Manuela Romano