venerdì 25 novembre 2011

Le origini della scrittura: la memoria attraverso le scritture

1. L’origine della scrittura
Le scritture più antiche risalgono al terzo millennio a.C.
Ripercorrendo lo sviluppo delle conoscenze umane, gli studiosi sono concordi nel
ritenere che molte società umane erano giunte assai vicino all’invenzione della
scrittura; ed è sorprendente constatare come si siano invece fermate ad uno stadio
precedente l’invenzione dell’alfabeto.
I dipinti e i graffiti delle società primitive contengono così tanti elementi di un
sistema di scrittura che chiamarli “arte” anziché “scrittura” può sembrare una mera
distinzione terminologica.
Secondo Steven Mithen ed altri studiosi la presenza delle componenti cognitive (il
bisogno di comunicare, la manipolazione della cultura materiale, una teoria della
mente, l’abilità manuale, il pensiero simbolico, ma soprattutto il linguaggio) sarebbe
stata molto importante, ma soltanto il contemporaneo verificarsi di condizioni
socio-economiche e politiche favorevoli, come avvenne in Mesopotamia nel 3.200
a.C., portò all’invenzione della scrittura.
L’invenzione della scrittura da parte delle più antiche civiltà ha trasformato il modo
di immagazzinare, manipolare e trasmettere le conoscenze ed è pertanto alla base
della lunga evoluzione che, partendo da quelle antiche civiltà, ha prodotto il mondo
moderno; la straordinaria crescita della conoscenza a partire da quell’evento può
essere senz’altro attribuita, in gran parte, al potere della scrittura.
2. La scrittura in Mesopotamia: Sumer e Accad
Furono i Sumeri a dar vita, intorno al 3200 a.C., alla prima alta cultura urbana e a
inventare la scrittura cuneiforme. Non ci è ancora dato sapere con esattezza, quando
essi si stanziarono in Mesopotamia, tra l’odierna zona di Baghdad e la foce del Tigri
e dell’Eufrate, e da dove provenissero. E’ improbabile, comunque, che fossero i primi
colonizzatori della regione, poiché molti nomi di antichi insediamenti non sono di
origine sumerica.
Intorno al 2600 a.C., iniziò l’immigrazione di popolazioni nomadi semitiche nella
regione, gli Accadi, che, lentamente, spinsero i Sumeri sempre più verso sud. Due
popoli assai differenti, che parlavano due lingue diversissime, di origine ignota e
agglutinante, l’una, semitica e flessiva, l’altra, ma che seppero creare nella loro
interazione e integrazione una grande e duratura civiltà.
Gli Accadi non avevano una propria scrittura perciò adottarono il cuneiforme per
esprimere la propria lingua, limitandosi a “leggere” in accadico il segno cuneiforme
sumerico, così ad esempio il segno “re”, in sumerico lugal, era in accadico
pronunciato šarru. Solo con l’avvento della dinastia fondata da Sargon (2350-2140
a.C.) compaiono i primi documenti cuneiformi scritti in accadico. In questo periodo
il processo di accadizzazione s’intensificò e i Sumeri furono lentamente, ma
inesorabilmente soppiantati (il processo terminò intorno al 1900 a.C. circa):
l’ultimo periodo di grande splendore fu quello detto Neosumerico (2140-2020
a.C.) che ci ha lasciato un numero impressionante di tavolette cuneiformi in
sumerico, raccolte in numerosi archivi di documenti economici, provenienti dalle
grandi città del regno, come Ur, Umma, Lagaš, Puzrišdagan. Fu però un regno di
breve durata, a causa di forti contrasti interni e dell’arrivo degli Amorriti,
popolazioni nomadi che fondarono vari regni in Sumer, tra cui quello di Babilonia.
Anche sul medio-Eufrate si era stanziata un’altra popolazione che avrebbe presto
scritto il suo nome nella storia: gli Assiri. I periodi successivi presero nome dalla
supremazia politica e culturale di queste due culture: paleo-babilonese e paleo-assiro
(sviluppatesi intorno al 1800 a.C.), medio-baliblonese e medio-assiro (sviluppatesi
intorno al 1600 a.C.); neo-babilonese e neo-assiro (intorno all’800 a.C.).
Nonostante tutti questi stravolgimenti, la lingua sumerica sopravvisse e divenne
lingua di culto, rimanendo in vita fino a quando la scrittura cuneiforme cadde in
disuso.
Evoluzione del cuneiforme
I più antichi documenti che contengono esempi di scrittura organizzata risalgono
alla fine del IV millennio a.C. (c. 3200-3100 a.C.). Si tratta di tavolette di argilla
rinvenute presso l’antica città di Uruk (odierna Warka), situata nel sud della
Mesopotamia (odierno Iraq), sulle quali sono incise sequenze di pittogrammi
(rappresentazioni rudimentali, veri e propri disegni che riproducono un oggetto così
com’è in realtà) incolonnati e ripetuti. Si tratta di documenti economici che
menzionano quantità di beni diversi (animali, derrate alimentari e merci varie),
razioni e altro.
I segni originali avevano già in questo periodo subìto un significativo cambiamento:
erano stati ruotati verso sinistra di 90°.
La scrittura ‘protocuneiforme’ delle tavolette di Uruk ebbe un’ulteriore
trasformazione nella prima metà del III millennio a.C., quando gli scribi, per evitare
le “sbavature” provocate dallo stilo appuntito nel tracciare linee curve, ma
soprattutto per rendere più veloce la realizzazione del segno, preferirono imprimere,
con uno stilo a punta, a sezione triangolare, tratti rettilinei a forma di cuneo. E
proprio dal latino ‘cuneus’ (chiodo) deriva il suo nome la scrittura cuneiforme.
Questo significativo cambiamento e l’adozione sempre più frequente di una scrittura
fonetica avviò un lento processo di semplificazione dei segni originari. Nel corso di
tre millenni essa si diffuse in tutto il Vicino Oriente e fu veicolo della cultura
mesopotamica. Oltre agli Accadi, altri popoli, come gli Ittiti o gli Elamiti,
l’adottarono per trascrivere la propria lingua, altri popoli se ne servirono per creare
nuove scritture (come l’ugaritico).
3. Le scritture egee
Le scritture egee, geograficamente localizzabili nei territori che si affacciano sul
mare Egeo, si sviluppano in un arco di tempo che va dalla seconda metà del III
millennio a.C. alla fine del II millennio a.C. Scopritore e indagatore della civiltà
minoica (così come viene denominata la civiltà dell’antica Creta) fu l’archeologo
Arthur Evans, che con gli scavi iniziati nel 1899 raggiunse, in breve, ottimi risultati.
Nell’isola di Creta, celebre per gli splendidi palazzi minoici e per i prosperi
commerci con le civiltà della Mesopotamia, dell’Egitto e della Penisola anatolica,
sono attestati tre differenti sistemi di scrittura sillabica: il geroglifico cretese, la
Lineare A, e la Lineare B.
Le iscrizioni si trovano su tavolette d’argilla (documenti d’archivio), sigilli, vasi,
elementi architettonici e altri supporti, e la loro stesura nasce dalle necessità
concrete legate all’organizzazione del lavoro, alla registrazione di beni, alla
contabilità.
Il geroglifico cretese (o minoico), attestato a Creta nel Medio Minoico I e II (2000-
1700/1600 circa), è una scrittura di tipo ideografico, allo stato attuale non ancora
decifrata. Se ne contano circa 331 testi tra documenti d’archivio e iscrizioni su
sigilli.
La Lineare A, scrittura sillabica frammista di ideogrammi, così chiamata da Evans per
il tracciato lineare e più semplice rispetto al geroglifico cretese e per la sua
disposizione orizzontale, è documentata tra il 1700 e il 1450 a.C. a Creta. I testi
sono 1472, e vi si contano circa un centinaio di segni, alcuni ideogrammi e un
sistema numerico decimale. Essa nasce nel periodo dei primi palazzi ma si impone
solamente nel periodo dei secondi palazzi quando sostituisce il geroglifico con cui
era coesistita per secoli; a sua volta, verrà adottata dai micenei che successivamente
creeranno la Lineare B. Sono venuti alla luce, su tavolette d’argilla e altro materiale,
più di mille testi di carattere amministrativo e religioso. Si tratta di una lingua non
ancora decifrata: tra le ipotesi si ricordano quella degli studiosi Meriggi e Palmer che
pensano al luvio e quella di Georgiev che pensa piuttosto al greco o all’ittito. Più
recente il tentativo di decifrazione avanzato da Consani e Negri.
La Lineare B, decifrata nel 1952 dall’architetto inglese Michael Ventris che si
avvalse, in un secondo momento, dell’aiuto del glottologo John Chadwick, è una
scrittura sillabica che semplifica la Lineare A e testimonia una lingua greca molto
antica, precedente i tempi di Omero. Essa venne utilizzata tra il 1400 e il 1150 a.C.,
e si contano circa seimila tavolette scoperte sia nell’isola di Creta sia nella Grecia
continentale, oltre ad iscrizioni dipinte su vasi. I segni sillabici sono circa 90; ad
essi si aggiungono numerosi ideogrammi e un sistema numerico di tipo decimale.
Tra le città che hanno restituito materiale si ricordano Cnosso, Cidonia, Pilo,
Micene, Tirinto, Eleusi, Tebe, Orcomeno. Le tavolette di argilla venivano iscritte
con uno stilo e poi lasciate seccare, ed erano successivamente conservate dentro casse
o ceste in stanze chiamate ‘uffici d’archivio’. Gli incendi che distrussero gli antichi
palazzi favorirono la cottura delle tavolette, che così si sono conservate fino ad oggi.
Infatti la conservazione della scrittura dipende anche dal materiale scrittorio;
l’argilla, ad esempio, se non viene cotta o bruciata, rimane troppo friabile. La forma
delle tavolette può variare: in genere presentano forma di pagina o di foglia e le
dimensioni sono tendenzialmente piccole. All’interno del miceneo sono individuabili
i sillabogrammi o fonogrammi (cioè segni che rappresentano delle sillabe) e gli
ideogrammi (cioè segni che esprimono dei concetti).
Una attenzione particolare merita inoltre il disco di Festòs. E’ un disco di argilla di
colore rossastro, con un diametro di circa 16 cm. per uno spessore che varia tra 1,5 e
2 cm. Esso fu scoperto nel 1908 dall’archeologo italiano Luigi Pernier durante gli
scavi all’estremità nord-est del palazzo di Festòs. E’ scritto su entrambe le facce e
per ottenere l’iscrizione sono stati utilizzati 45 punzoni che corrispondono ai 45
segni differenti presenti sul disco. Per la prima volta nella storia sono stati utilizzati
dei caratteri mobili (punzoni) per stendere un testo che si presenta così come un
antichissimo esemplare di documento a stampa. L’andamento della scrittura è
spiraliforme (nella lettura si parte dalla periferia per raggiungere il centro). I segni
sono 242; la scrittura sembra di tipo sillabico e la sua origine è presumibilmente
egea. La natura del testo è incerta, e problematica è la sua decifrazione che,
nonostante molteplici tentativi, spesso fantasiosi e ingenui, rimane per ora
enigmatica.
Tra le scritture dell’area egea si ricorda anche il cipro-minoico utilizzato nell’isola di
Cipro tra la fine del XVI secolo e il 1050 a.C. circa. Questa scrittura sillabica, non
ancora decifrata, è testimoniata ad Enkomi, sulla costa orientale di Cipro e sulla
costa siriaca, a Ugarit. Dal cipro-minoico è derivato il sillabario cipriota classico
adottato a Cipro tra l’VIII e il VII secolo a.C. e rimasto in vigore fino al III secolo
a.C. Tale sillabario conta 56 segni di cui 5 sono vocali; la sua decifrazione è avvenuta
tra il 1872 e il 1875 per merito di George Smith che si servì di testi bilingui
fenicio-ciprioti.
4. La scrittura in Egitto
In Egitto la scrittura nacque in un’epoca grosso modo contemporanea a quella in cui
la scrittura cuneiforme si affermò in Mesopotamia (circa 3200 a.C.). Platone nel
Fedro riferisce la credenza egiziana secondo cui il dio Thot aveva inventato la
scrittura e ne aveva fatto poi dono agli uomini.
La prima scrittura che troviamo in uso nell’antico Egitto è quella geroglifica. La
definizione ‘geroglifici’ (dal greco γrάμματα iεroγλυφικά , cioè ‘lettere sacre incise’)
è da attribuire a Clemente di Alessandria (secolo II d.C.), il quale non
comprendendoli, e avendoli visti incisi soprattutto su monumenti di carattere
religioso, erroneamente enfatizzò questo aspetto. In realtà i geroglifici non avevano
nulla di sacro e venivano impiegati per scritti di ogni tipo.
Essi furono dapprima pittografici o ideografici (cioè rappresentavano
simbolicamente un oggetto o un’idea), successivamente anche fonetici (cioè
rappresentavano un suono della lingua parlata).
I geroglifici potevano essere letti da destra verso sinistra o dall’alto verso il basso e
viceversa, a seconda della collocazione del testo. Per scoprire in qual senso il testo
debba essere letto basta osservare la direzione dello sguardo degli esseri viventi
(uomini o animali) rappresentati.
Tale scrittura però, pur avendo un elevato numero di simboli (se ne conoscono circa
tremila), aveva una limitata capacità espressiva: non era per esempio possibile
esprimere concetti astratti o verbi.
Nel tempo la scrittura geroglifica subì delle modificazioni. Durante la III dinastia
(inizio del III millennio a.C.) comparve la scrittura ieratica (secondo Clemente
Alessandrino “lingua sacerdotale”), uno sviluppo corsivo della precedente, ossia una
semplificazione dei segni originari con lo scopo di ottenere una maggiore velocità
nello scrivere.
Essa fu in uso fino alla fine del Nuovo Regno (fine del II millennio a.C.) e venne
adoperata per redigere tutti i documenti che riguardavano la vita pubblica e religiosa.
Agli inizi si sviluppava su colonne verticali, ma successivamente si passò a una
stesura orizzontale, da destra verso sinistra. In epoca tarda lo ieratico fu usato solo
per testi religiosi.
La forma demotica ebbe origine da un’ulteriore semplificazione della ieratica, con la
differenza che, anziché semplificare singoli segni, ne venivano abbreviati gruppi
interi che apparivano come un unico segno. Essa è quindi più difficile da leggere
rispetto al geroglifico e allo ieratico.
Il demotico, venne usato dall’epoca della XXVI dinastia (VII secolo a.C.), quando fu
introdotto fino alla fine del periodo romano (IV secolo d.C.). Esso riflettè sempre
più la lingua popolare e fu la scrittura favorita dagli scribi ‘ufficiali’. Proprio per
questo motivo la demotica (dal greco δήμος = popolo) venne identificata con la
scrittura popolare.
Infine, in età romana, si andò formando la scrittura copta che troviamo in uso dal III
secolo Essa altro non era che la trascrizione della lingua egiziana in caratteri greci e
fu elaborata dagli egiziani di religione cristiana (i copti, appunto). La scrittura copta
era, come quella greca, una scrittura fonetica. Venivano utilizzate infatti le lettere
dell’alfabeto greco (comprese le vocali che nella lingua scritta egiziana non
esistevano) con l’aggiunta di pochi altri segni derivati dal demotico.
L’evoluzione della scrittura copta fu però indipendente da quella dell’alfabeto greco.
In particolare, nel IX secolo d.C., lingua e scrittura copta dovettero soccombere di
fronte a lingua e scrittura araba, pur continuando ad essere ancora in uso (veramente
assai ristretto, particolarmente a partire dal secolo XIII) fino a che dal secolo XVII,
non scomparvero completamente come scrittura e lingua vive, rimanendo tuttavia
fino ad oggi come espressione ufficiale della Chiesa copta.
La lingua e la scrittura greca in Egitto
Almeno dal VII secolo a.C. in Egitto furono note anche la lingua e la scrittura greca,
ivi introdotte dai soldati mercenari e dai mercanti (proprio a questo periodo risale
infatti la fondazione, nel delta del Nilo, di Naukratis, colonia greca di Mileto).
Nel 332 a.C., Alessandro Magno conquistò l’Egitto. Dopo la sua morte il paese
divenne un regno indipendente sotto l’autorità di Tolemeo I Sotere e il greco ne
divenne la lingua ufficiale.
Chi parlava greco restava pur sempre una minoranza, ma con un rilevante peso
sociale e politico. Il greco usato era quello della κοινή διάλεκτος, e l’alfabeto era lo
ionico di Mileto che era stato adottato per decreto in Atene nel 404-403 a.C.
Dal sec. III a.C. in poi i papiri testimoniano in Egitto la presenza diffusa della lingua
e della scrittura greca non solo in testi documentari, ma anche letterari. Le forme
grafiche in cui il greco si esprime, cioè quelle che noi diciamo maiuscole, risultano
estremamente variate: eleganti forme librarie coesistono con la scrittura ‘svelta’ dei
testi documentari. Ma accanto al greco, il demotico, insieme allo ieratico, è presente
ancora nella documentazione privata della popolazione indigena.
Quando, a partire dal 30 a.C., l’Egitto diviene provincia romana, il greco rimane la
lingua ufficiale così come per tutte le provincie orientali dell’Impero romano; nei
libri, ancora in forma di rotolo, troviamo un greco chiaro ed elegante, leggibile
ancora oggi da un ‘profano’ che conosca un po’ l’alfabeto greco nella sua forma
maiuscola.
Tra il III e il IV secolo d.C. il rotolo lascia il posto al codice per i testi letterari,
mentre le scritture corsive subiscono l’influsso delle coeve scritture latine e si
evolvono rapidamente, ma si potrà parlare di scrittura minuscola solo alcuni secoli
più tardi.
Infine, nel VII secolo d.C., il paese viene conquistato dagli arabi e la grecità si
estingue in Egitto sotto la pressione di un’arabizzazione sempre più diffusa; ma solo
nell’VIII secolo l’arabo sostituisce definitivamente il greco: esso scompare anche
come lingua parlata né si trovano più codici scritti in greco.
La collezione di papiri dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
(identificati con la sigla P.Med. = Papyri Mediolanenses) si è costituita, nel
Novecento, in periodi diversi: negli anni Venti, con le donazioni Jacovelli-Vita e
Castelli, acquisite tramite Aristide Calderini, e successivamente, in acquisto, per
opera di Orsolina Montevecchi.
Si tratta in tutto di circa un migliaio di pezzi, tutti di provenienza egiziana, per la
maggior parte scritti in greco, e in piccola parte in ieratico e copto. Tra i papiri greci
se ne contano una quarantina fra biblici, liturgici, letterari e semiletterari, tutti gli
altri sono documentari.
In buona parte i papiri sono già stati editi su Aegyptus, rivista italiana di egittologia e
di papirologia fondata nel 1920 da Aristide Calderini. I papiri documentari sono
stati ripubblicati nei vari volumi del Sammelbuch griechischer Urkunden aus Aegypten.
5. Le scritture consonantiche della regione siro-palestinese
Il problema dell’origine dei sistemi di scrittura consonantica resta tuttora insoluto.
Nel II millennio a.C. nella regione siro-palestinese ci furono diversi tentativi di
creare sistemi di scrittura locali, come la scrittura pseudogeroglifica di Biblo (30
km. a nord di Beirut, sulla costa dell’attuale Libano), la scrittura protosinaitica e
quella delle iscrizioni palestinesi protocananaiche. Tali sistemi erano indipendenti da
quelli più antichi mesopotamico ed egiziano, benché questi, e specialmente il
secondo, abbiano esercitato la loro influenza. L’origine remota del principio
consonantico va cercata in Egitto, ma quanto al luogo e al tempo in cui tale
principio si affermò nella regione siro-palestinese le opinioni degli studiosi sono
diverse.
La scrittura ugaritica fu elaborata e usata nella città di Ugarit (attuale Ras Šamra, in
Siria): comprende 28 segni (30 computando le tre ’ălef) ed è di influenza
mesopotamica (ovvero segni cuneiformi incisi su tavolette con uno stilo). Essa è la
più antica fra quelle del II millennio a.C. ad essere stata decifrata ed è prova che il
principio consonantico esisteva già nel XIV secolo a.C.
Tra le scritture consonantiche semitiche vanno distinte la nord-semitica (la scrittura
ugaritica e la fenicia, attestata dal XIII secolo a.C., con quelle da essa derivate) e la
sud-semitica (i sistemi grafici ‘proto-arabo’ [testimoniato dal VIII-VI secolo a.C.],
nord-arabico e sud-arabico [documentati dal IX secolo a.C.]), che presentano
diversità non solo nei simboli grafici, ma anche nell’ordine di successione dei segni
dell’‘alfabeto’. L’ordine sud-semitico, testimoniato anche dalla tradizione etiopica, è
diverso da quello ugaritico e fenicio.
L’ordine dei segni nord-semitico, che non corrisponde a nessuna logica né fonetica
né grafica, è stato posto in connessione con un’origine astronomica: esso
costituirebbe una specie di ‘calendario’ che ricorda le fasi lunari e rappresenta la
situazione degli astri attorno al 2000/1600 a. C. [i 30 segni dell’‘alfabeto’
ugaritico rappresenterebbero l’intero mese lunare (compresa la fase oscura), i 22
dell’ ‘alfabeto’ fenicio solo le tre fasi luminose].
I nomi delle lettere alfabetiche ci sono conservati dalla tradizione greca, la quale ha
reso propriamente alfabetico il sistema di scrittura fenicio. Le lingue semitiche
hanno infatti un sistema fondamentalmente consonantico, mentre il greco e gli
alfabeti da esso derivati esprimono anche le vocali. Alcune consonanti fenicie, che
non avevano più corrispondenza di suono in greco, sono state utilizzate per
rappresentare le vocali: lef → alfa; hē’ → e-psilon (= «e semplice»); → ta yd
→ iota; ‘ayin → o-micron («o piccolo»); waw ha dato origine col suono consonantico
al digamma, con quello vocalico alla y-psilon («y semplice», rispetto al dittongo ou).
Molte lettere greche hanno nomi semitici: oltre alle già citate, lettere greche che
hanno nomi semitici sono beta, theta, kappa, lam(b)da, my, ny, pi, tau, koppa.
Anche la direzione della scrittura era originariamente uguale: da destra a sinistra,
come è rimasta per i semiti (tranne che nell’etiopica, scrittura di origine sud-arabica)
e come è attestata in Grecia in età arcaica. In Grecia poi dal V secolo a.C. divenne
usuale la direzione da sinistra a destra, dopo un periodo di transizione in cui fu
usata la scrittura «bustrofedica», così chiamata dall’espressione greca che significa
«che gira come il bue» quando ara un campo: da destra a sinistra, poi viceversa e così
di seguito.
Dalla scrittura fenicia sono derivate sia l’ebraica antica, detta paleoebraica
(documentata dall’VIII secolo a. C.), sia l’aramaica (attestata dal X secolo a.C.), che
dalla fine dell’VIII secolo è documentata anche in una forma corsiva (diffusa specie
in Assiria). Dalla scrittura aramaica delle cancellerie di età persiana tarda si
sviluppano dal III secolo a.C. varie scritture nazionali tra cui ricordiamo: la scrittura
giudaica, detta anche ‘ebraica quadrata’ per la forma dei segni (dal III secolo a.C.) e
la scrittura siriaca (la forma di nord-siriaca della zona di Edessa, dall’inizio del I
secolo d.C.).

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