venerdì 16 dicembre 2011

LA LAVORAZIONE DELL'OSSO E DEL CORNO

Una tradizione millenaria.

L’osso, specialmente dei mammiferi domestici come il bue, il maiale, la capra o la pecora, e il corno di cervo e di capriolo costituivano nella preistoria un’importante fonte di materia prima per fabbricare strumenti, in genere di piccole dimensioni, che avevano il pregio di essere molto resistenti ai processi di usura. Durante l’età del Bronzo, soprattutto antica e media, in osso venivano prodotti punteruoli, lesine, aghi, spatole, lisciatoi. Per fabbricare i punteruoli si usavano ossa lunghe come ulna, radio e fibule di bue, capra, pecora o maiale oppure metapodi di capra, pecora o eventualmente di capriolo. Nel caso delle ossa lunghe la base dello strumento era costituita dall’epifasi, intera o dimezzata, utilizzata come impugnatura; la parte distale, invece, veniva modificata in maniera più o meno importante mediante taglio, raschiatura e levigatura. Questo genere di punteruoli o perforatori è molto frequente negli insediamenti palafitticoli. Impugnati direttamente dalla mano e ruotati alternativamente da sinistra a destra e viceversa in modo da perforare, erano certamente utilizzati nella lavorazione delle pelli. Gli aghi per cucire venivano ricavati, in genere, da fibule di maiale o da schegge di ossa lunghe, le spatole e i lisciatoi per lo più da costole. In questi strumenti la punta e tutta l’estremità distale spesso appaiono molto lisce e lucide, indizio di un uso prolungato. Resti di palchi di corna di cervo sono molto frequenti negli abitati dell’età del Bronzo. Il corno di cervo era utilizzato per fabbricare una vastissima gamma di strumenti e di oggetti di ornamento : guaine per l’immanicatura delle asce, zappette, picchi, martelli, raschiatoi, strumenti con taglio a biseau ( “fenditoi” ), manici di lesine e di punteruoli in bronzo, immanicature di acciarini di selce, cuspidi, di freccia, pomi di manici di pugnali, rivestimenti di impugnature di pugnali e di spade, montanti di morsi di cavalli, ganci da cintura, spilloni, capocchie di aghi crinali, pettini, bottoni a spola fusiformi, alamari, navette, ecc. A volte i manufatti in corno erano accuratamente decorati a incisione con motivi geometrico- lineari oppure a occhi di dado.
Per la confezione di tutti questi manufatti erano utilizzati i palchi caduti naturalmente in seguito alla muta, verso la fine dell’inverno, e raccolti nei boschi, poiché sono più calcificati e quindi più resistenti. Il corno di cervo era lavorato sia con strumenti di selce sia con lame di bronzo. I procedimenti tecnici impiegati comprendevano l’intaglio, la scortecciatura, la levigatura, il ritaglio a percussione, il taglio con la sega. Il palco era sfruttato in tutte le sue parti ed esisteva una vera e propria specializzazione per cui ciascuna parte -la rosetta, l’asta, le ramificazioni, la corona- era predestinata a determinati tipi di manufatti. Ad esempio guaine per asce, martelli e zappette erano ricavati dalla rosetta, i picchi della rosetta e del ramo inferiore detto pugnale, i pettini delle placchette ottenute dalle aste, i pomi della base della corona, i montati e alcune immanicature  della terminazione delle ramificazioni. Il punto di partenza per la fabbricazione di tutta una serie di manufatti era una placchetta ridotta  a spessore uniforme. Quelle di maggiore ampiezza si potevano ottenere intagliando due scanalature parallele sulla parte esterna delle aste, poi agendo lateralmente sul fondo delle scanalature si svuotava la parte interna spugnosa fino a quando facendo leva si poteva staccare una placca più o meno lunga, che doveva essere sgrezzata con la lisciatura mediante un grattatoio per eliminare la rugosità sia della faccia midollare che di quella corticale. La placchetta veniva quindi ritagliata per confezionare il manufatto. A questa tecnica molto antica – la lavorazione ha una tradizione plurimillenaria, avendo avuto inizio durante il Paleolitico Superiore – si aggiunsero nell’età del Bronzo la fenditura longitudinale e il taglio con la sega. Nell’età del Bronzo, la lavorazione del corno conosce una grande diffusione ed è considerata uno degli aspetti più caratteristici della cultura palafitticola-terramaricola  del Bronzo Medio e Recente. I manufatti più frequenti sono le cuspidi di freccia, lunghe da 2 a 10 cm, che pur presentando fogge abbastanza standardizzate, possono variare per la forma della punta (piramidale o conica) e del peduncolo (nettamente distinto da un gradino oppure senza stacco rispetto alla punta), per la presenza o assenza di alette in numero variabile da 2 a 4 e di un collarino tra punta e peduncolo, per il diverso rapporto lunghezza della punta/lunghezza del peduncolo, che può essere 1:1 o 2:1.
Dopo le frecce, i pattini, gli spilloni, le teste di aghi crinali a disco o a ruota raggiata sono i manufatti più frequenti. Alcuni pettini potevano essere oggetti relativi all’acconciatura femminile, altri erano utilizzati probabilmente nella lavorazione delle pelli per depilarle. La lavorazione del corno continua ancora attivamente nell’età del Bronzo Finale, mentre nel corso dell’età del Ferro, pur non scomparendo, conosce un netto declino, limitandosi a qualche impugnatura e a qualche oggetto ornamentale.

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